COVID-19 Quanto dovrebbero essere efficaci le disposizioni governative perché siano accettate le rinunce e le perdite?
Care tutte e tutti
Per i tanti che non mi conoscono, sono un Associate Researcher
dell’ISTC, afferente al Language and Communication Across Modalities
Laboratory.
Ho letto con interesse il primo report dell’indagine “Coronavirus e
fiducia – una ricerca esplorativa” e in particolare i risultati sulla
fiducia verso le disposizioni emanate dall’Autorità Pubblica
(“Riguardo alla capacità di organizzare misure sufficienti, il
campione concorda su questa capacità per il 44,8%. Il 21,6% dissente
su questa capacità mentre il 33,6% non si esprime né a favore né
contro.”).
Da alcuni giorni sto lavorando anch’io sul COVID, focalizzandomi su
una domanda: Quanto dovrebbero essere efficaci le disposizioni
governative perché siano accettate le rinunce e le perdite?
Il disegno dello studio è basato sull’approccio Discrete Choice
Experiment (noto anche Choice-Based Conjont analysis e in italiano
“modello composizionale multi-attributo”).
È un metodo che probabilmente alcuni di voi conoscono, essendo nato
dalla psicologia matematica. Non entro nei dettagli metodologici e
tecnici in questa mail ma chiunque sia interessato è caldamente
invitato a scrivermi. Se poi qualcuno si è già occupato di questi
modelli, mi farebbe davvero piacere un confronto e un approfondimento.
I task del questionario sono necessariamente complessi, in quanto si
mira a trovare il punto di equilibrio in uno scambio (infatti viene
usato spesso il termine trade-off) tra due beni o prodotti che hanno
diverse caratteristiche. E quindi a misurare la willingness-to-pay,
cioè quanto sono disposto a pagare per avere un vantaggio o per
ottenere un beneficio.
In medicina si sta usando molto per capire cosa guida le preferenze
dei pazienti tra le possibili opzioni terapeutiche. Ad esempio si
vuole rispondere a questa domanda: quali rischi di incorrere in
effetti collaterali sono disposto ad accettare per guadagnare in
termini di efficacia? Se l’efficacia è la sopravvivenza si può
misurare quanto “vale” un anno in più, in termini di disagi per
effetti collaterali (tipicamente diarrea, cefalea, nausea). E’
preferibile un trattamento più efficace ma più invasivo o uno meno
efficace e meno invasivo? E i pazienti rispondono tutti allo stesso
modo o ci sono cluster definibili in base ai criteri di scelta
(segmentazione della popolazione target)? O ancora, quali sono le
caratteristiche che incidono sulle scelte e quali no? Ormai ci sono
centinaia di lavori in diverse patologie. Personalmente ho già
pubblicato sul diabete e ora sto lavorando sulla leucemia linfatica
cronica, la psoriasi, l’artrite reumatoide, l’epatite C nelle
popolazioni hard-to-reach e a breve la sclerosi multipla.
È chiaro che proporre un questionario DCE ai pazienti è più facile
rispetto a proporlo alla popolazione generale: si ha più tempo di
spiegare tutto, i pazienti sono più consapevoli e informati sulla loro
malattia e sui trattamenti, insomma sono più coinvolgibili.
Questo è il primo DCE che farei sulla popolazione generale e quindi mi
aspetto una maggiore difficoltà di comprensione. Per questo ho
semplificato i task: in genere contengono tra 5 e 7 attributi e io ho
fatto un modello con 4 attributi: due di efficacia (riduzione della
probabilità di essere contagiati e della probabilità di contagiare) e
due di costi (introiti economici e durata delle rinunce).
L’ho già testato tra i miei colleghi e amici. Vorrei ora testarlo su
una platea un po’ più grande e per questo ho pensato a questa mailing
list.
Potrei darvi spiegazioni più dettagliate ma evito perché i potenziali
partecipanti futuri potranno ricevere solo poche e asciutte
istruzioni, altrimenti abbandonerebbero prima di cominciare.
Questo il link al questionario
https://ITcovid.
Spero che possiate e vogliate partecipare in tanti e vi ringrazio fin
d’ora per i feedback che mi invierete.
Saluti a tutti
Patrizio
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Patrizio Pasqualetti
<https://scholar.google.com/
biostatistico
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